Quello che andrò a scrivere in questo paragrafo non è purtroppo frutto della mia esperienza diretta in quanto non ho ancora mai avuto l’occasione di visitare l’Afghanistan alla ricerca dell’autentico pastore dell’Asia Centrale locale.
Devo dire che in questo mio ultimo viaggio sono stato per parecchio tempo nell’estremo Sud del Tajikistan al confine con l’Afghanistan e per alcuni giorni ho vissuto l’illusione, con il mio compagno di viaggio, che avrei potuto intrufolarmi in quella terra proibita.
Il nostro amico esperto di cani tagiki Ibragim ci aveva promesso che avremmo potuto organizzare un’escursione di 2/3 giorni nella parte Nord del paese dove pare che gli effetti della guerriglia si siano molto mitigati. Io avevo pensato che sarebbe stato realmente possibile l’avverarsi di questo sogno anche da ciò che mi aveva confermato un capitano dell’Esercito Italiano che si reca spesso per missioni in quello stato e che da poco è diventato il proprietario di un mio cucciolo di pastore dell’Asia centrale.
Avevamo già organizzato tutto: sarebbe stato facilmente possibile ottenere il visto all’ambasciata afgana di Dushambè, avremmo avuto l’auto adatta per affrontare quelle strade impervie, Ibragin ci avrebbe condotto vestiti da afgani, per maggiore sicurezza, da numerosi suoi amici con i quali ha un regolare scambio di cani ogni anno. Laggiù lui conosce sia allevatori che alcuni pastori e privati appassionati della razza.
Ma il tutto non è stato possibile per alcune ragioni di sicurezza indipendentemente dagli eventuali attentati terroristici che in quella parte della nazione sono poco frequenti. Il problema più grande è costituito dai numerosissimi posti di blocco del confine. La polizia tajika non crede facilmente che due europei possano recarsi in Afganistan, via terra e fra le montagne, perché interessati di cani. In Afganistan esiste un’intensa produzione di droga ed il sospetto che se ne voglia esportare è molto elevato. Il rischio di essere trattenuti in cella per un paio di settimane per accertamenti è quasi una certezza, in Tajikistan non esiste un’ambasciata italiana e quindi le cose si sarebbero potute complicare parecchio considerata anche la scadenza fissa del nostro biglietto aereo di ritorno. Inoltre in Tajikistan per ogni spostamento sarebbero ancora necessari specifici permessi simili a quelli turkmeni, anche se la polizia spesso chiude un occhio o si “accontenta” di poco. Quindi non è stato possibile.
Poiché io non mi convincevo facilmente, Ibragim ed il nostro interprete Daller vollero darmene una chiara dimostrazione conducendomi a vedere un paio di cani all’interno del distretto di Parchar, esattamente a Pyanj, praticamente sulla frontiera afgana dove abita un loro amico “un pezzo grosso” del reparto sicurezza del presidente tajiko. Bene! Vi assicuro che specialmente in un caso dove ci hanno fatto scendere dall’auto e condotti un una stanza per raccogliere informazioni su cosa stavamo facendo in quel luogo, tenendo conto delle espressioni dei nostri accompagnatori che cercavano di spiegargli le nostre semplici e reali intenzioni, ho temuto di dovermi fermare lì per qualche giorno! Solo dopo Daller, il nostro interprete, mi spiegava di aver dovuto far appello al suo genitore, colonnello della polizia tajika, affinchè potessimo lasciare quel posto di blocco e giungere a destinazione. Cosa sarebbe poi successo in Afganistan solo il destino l’avrebbe saputo.
In ogni caso ho raccolto alcune informazioni sui cani da pastore afgani da tutti coloro che, abitando nel Tajikistan del sud, hanno spesso contatti con i popoli di quella terra oltre a possederne svariati esemplari. Sono anche divenuto in possesso di un filmato di cui ne riporterò alcuni fotogrammi oltre ad aver organizzato una “conferenza” telefonica fra noi, Ibragim che parla il fārsì comunemente parlata in Iran (Persia), Tagikistan, Afghanistan e Uzbekistan, un esperto di razza e commerciante di canii afgano, oltre ovviamente a Daller che ci traduceva il tutto in inglese.
Le informazioni che ho raccolto sui cani da pastore dell’Afganistan mi hanno chiarito molti concetti.
Il cane da pastore afgano è comune a tutti gli altri cani da pastore dell’Asia centrale e non “speciale” come molti appassionati del web continuano a sostenere attribuendogli doti particolari solo perchè attualmente irraggiungibile causa la difficile situazione politica. E’ forse vero invece che, nell’ultimo secolo, i russi sono riusciti a fare un po’ meno danni genetici in quella terra più impenetrabile ma, se parliamo di autentici cani da pastore aborigeni, il ceppo genetico è sempre lo stesso. Un tempo non esisteva la distinzione fra Tajikistan, Afganistan e Iran, bensì era un unico territorio dei persiani. I prati rigogliosi dell’attuale Tajikistan del sud erano il luogo dove tutti i pastori di quelle zone percorrevano anche 1000 km ogni anno affinché i loro greggi potessero sfamarsi dopo la penuria dell’inverno, dar vita agli agnellini e prepararsi per la “carestia” del periodo estivo. Non esistevano i pastori nomadi afgani, quelli tagiki, etc.. tutti i pastori erano dei nomadi e si spostavano per nutrire i loro greggi, la lotta contro i predatori era dura ovunque e quindi cercavano di munirsi di cani coraggiosi.
Ancora oggi anche in Afganistan, nella lingua farsì, i pastori vengono chiamati comunemente “ Chuponi” o “Dahgmarda”. Tanto che ho dovuto insistere molto per farmi capire su cosa intendevo per Sage-Koochee ("koochee" non appartiene a nessun dialetto locale), che poi nella lingua Pashto il termine per identificarli è: Sage-Kuchi (dalla parola persiana Koch che significa "migrazione").
Lo stesso esperto di razza afgano, amico di Ibragim, che confermava di conoscere Rasaq Qadirie, identidficato nell’ambiente locale come un appassionato della razza, chiama “Chuponi o Dahgmarda” i suoi cani senza l’aggiunta di Sage.
Anche se laggiù chiunque conosce i Kochian Afgani, in quanto nomadi che fanno parte della storia di quelle terre, il termine Sage-Kuchi non viene usato abitualmente in quanto starebbe a significare semplicemente “cane dei pastori che emigrano” ovvero ciò che hanno sempre fatto un tempo tutti i pastori dell’Asia centrale. In poche parole sarebbe come se alcuni nostri zingari utilizzassero dei pastori Maremmani per le loro pecore e capre e noi li pubblicizzassimo all’estero come i “cani da pastore degli zingari maremmani” per creare più affascinante la vicenda. Ma sempre cani da pastore maremmani sarebbero.
Inoltre tutti i Tajiki raccontano di quando i pastori nomadi afgani, cercando di oltrepassare il fiume Amu Darya, venivano in ogni primavera nelle aree dell’attuale Tajikistan del sud per “rifocillare” le loro pecore e quindi i cani erano gli stessi.
Nessuno dei pastori nomadi tagiki che ho incontrato mi ha detto di essersi mai occupato degli accoppiamenti dei loro cani. Tutto avviene da se. Quando le femmine vanno in calore inizia la “guerra”: femmine contro femmine e maschi contro maschi, dei pastori nomadi si scontrano ed i più dominanti si accoppiano, se sono fratelli e sorelle non importa intanto ci penserà la natura a selezionarli. E' inoltre facile incontrare, anche nei pascoli più isolati, soggetti di buona struttura che vivono randagi poichè nati chissà dove od estromessi dai branchi di cani dei pastori (in tal caso riconoscibili per le orecchie e la coda tagiate). Questi hanno la vita più dura e sono i più selvatici. Anche queste femmine vengono coperte dai maschi più dominanti che lasciano occasionalmente il branco per rincorrerle, loro partoriranno in natura.
A tutti i cani di quei luoghi non viene fornito altro cibo un po’ di pane duro, quando avanza e per il resto bisogna cacciare.
Il mantello dei cani da pastore aborigeni afgani è simile a quello degli altri dell’Asia centrale ovvero di molte tonalità di colore e può variare di tonalità in base a dove si siano riprodotti in consanguineità. Il colore beige/arancione è comunque preferito da molti e pare sia più diffuso nell’Afganistan de Sud anche se presente in tutto il territorio come le altre qualità di mantelli.
Dai filmati che ho visto a casa di alcuni allevatori tagiki, i cani da combattimento afgani hanno un ottimo temperamento e dinamicità in relazione alla mole che possiedono, spesso molto elevata ma nulla a che vedere con la flacidità di alcuni moderni “molossoni" d’importazione russa che in quelle terre vivrebbero con fatica.
Hanno teste robuste ma mai troppo appesantite, giogaie molto contenute, arti proporzionati e non esageratamente massicci, una muscolatura possente ma piuttosto armonica. Alcuni sono molto simili a soggetti che vidi ai combattimenti di Ashgabat in Turkmenistan.
Non va comunque dimenticato che il cane da combattimento non proviene dalla natura ma è stato creato da una selezione specifica dell'uomo per quello scopo preciso, quindi spesso si discosta molto morfologicamente dal suo “fratello” che lavora tutto il giorno a custodia delle pecore e che appartiene alle genetiche più antiche.
Anche in Afghanistan, la folla ama gli scontri fra animali il più grandi possibili perchè, come fu un tempo nel pugilato, il profano preferisce vedere il peso massimo pittosto che un welter, ignorando che la migliore tecnica emerge invece dove esiste il perfetto equilibrio fra le proporzioni.
I combattimenti in Afganistan avvengono in presenza di folle molto numerose, più o meno controllate da militari, armati di Kalashnikov, che cercano di sedare le continue baruffe che si scatenano ad ogni incontro. Lo scopo principale degli scontri è il semplice divertimento alimentato da laute scommesse e non come spesso si sostiene a titolo di giustificativo: “per selezionarne i riproduttori”. I pastori nomadi non hanno quell’esigenza: presso di loro avviene tutto naturalmente e si riproducono solo i più dominanti.
A differenza del Turkmenistan, possono partecipare ai combattimenti anche cani di altre razze, è facile vedere nell’arena alcune tipologie di mastini pachistani, anch’essi molto diversi da cosa si spaccia per tali in altre parti del mondo.
Gli afgani sono soliti a pigmentare le zampe ed a volte anche l’intera testa del cane con un disinfettante marrone scuro, tipo la nostra ormai scomparsa “tintura di iodio” oggi più riconosciuta come Betadine. Quindi è facile vedere cani apparentememnte con dotati di strani mantelli ma che in realtà sono stati colorati dai loro proprietari per evitare che le ferite si possano infettare troppo durante i combattimenti.
Generalmente i soggetti che si scontrano risultano molto aggressivi, ancor di più di quelli turkmeni, spesso anche a danno degli stessi proprietari che prestano molta attenzione nel toccarli durante le fasi che precedono i combattimenti. Non è raro vedere uomini afgani che coprono la visuale al loro cane con una coperta per evitare che nel momento dell’eccitazione, che precede lo scontro, possa rigirarsi su chi lo stia trattenendo. In alcuni casi la coperta viene levata solo all’ultimo istante prima di combattere e solo quando i cani sono già molto vicini uno di fronte all’altro, tanto da non distrarsi e dirigersi contro il primo capitato.
“Oltre ad essere una pessima dimostrazione di inciviltà, i combattimenti dovrebbero essere aboliti anche per ciò che sviluppano nella razza. I cani dei pastori aborigeni non dimostrano mai aggressività con i loro padroni in quanto sono cresciuti in armonia con l’ambiente e secondo antichi principi della natura. E’ assolutamente falso che i combattimenti organizzati siano serviti un tempo per scegliere i riproduttori con lo scopo di selezionare buoni soggetti capaci di tenere lontani i vari predatori. I cani aborigeni non amano combattere senza uno scopo preciso e provenendo geneticamente da animali molto vicini al lupo, tendono a ritualizzare molto le loro intenzioni stabilendo solide gerarchie che vengono rispettate da tutti. Loro combattono spontaneamente solo nel momento che precede l’atto sessuale finalizzato alla riproduzione e quando la supremazia del dominante non viene più riconosciuta da un componente del branco. Sanno benissimo che lo spreco di inutili energie potrebbe essere fatale qualora dovesse sopraggiungere il reale predatore dove il cedimento diventerebbe fatale.
Anche in Asia centrale il sistema nervoso di un cane selezionato per i combattimenti spesso non è molto stabile in quando l’animale non conduce un sistema di vita naturale, rimane spesso rinchiuso in piccoli recinti ed esce solo per gli allenamenti. Bisogna fare molta attenzione ad impossessarsi di cuccioli che provengano da quelle genealogie.
Il cane dei pastori invece si alleva con la famiglia, è libero di spaziare tutto il giorno nei prati, matura e riproduce un equilibrio che lo porta a distinguere gli amici dai nemici. Ma la cosa più affascinante è che solo lui è il vero guerriero, capace di sacrificarsi contro un branco di lupi, unicamente per proteggere gli averi del suo padrone”.
Cari amici,
mi rendo conto che tutto ciò che ho narrato in questo paragrafo, sul cane da pastore dell’Asia centrale afgano, è un po’ poco.
Credo però di poterlo integrare ancora notevolmente in futuro con documentazione ed informazioni che ha promesso di inviarmi un mio amico militare in Afganistan oltre ad altro materiale che dovrei (?!) ricevere dai miei corrispondenti tagiki.
Io non amo estrapolare dal web fotografie, semplici teorie improvvisate o tradurre testi di altri allevatori stranieri, mi attengo e mi fido solo di ciò che vedo di persona sui luoghi o cosa mi giunge dagli abitanti locali. Quindi per adesso non posso scrivere altro.
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